Cassazione Penale, Sezione Terza, 07.03.2016 n. 9221
Con la pronuncia n. 9221/2016 la Suprema Corte ha affermato che: “laddove il comportamento del soggetto passivo in qualche modo assecondi il comportamento del soggetto agente, viene meno il requisito indispensabile del mutamento radicale delle proprie abitudini di vita e la situazione di ansia che segna in modo irreversibile la vita della vittima”.
Il caso: la vicenda trae origine dall’interruzione del rapporto sentimentale tra due fidanzati, per volontà della ragazza, a causa della morbosa e pressante gelosia del giovane. Lui, cessata la relazione con la persona offesa, aveva iniziato a farla oggetto di ripetute pressioni nonché minacce, seguite da numerose telefonate e messaggi a quali la ragazza rispondeva. La stessa, peraltro, accettava di partecipare ad un incontro chiarificatore durante il quale era stata costretta a subire un rapporto sessuale.
La Corte di Cassazione, partendo dal testo letterale della norma, precisa che ai fini dell’integrazione del delitto di stalking sono sufficienti anche due sole condotte molestatrici assillanti in successione tra loro: una condotta circoscritta ad una serie di atti di disturbo non seguita dall’evento-danno sulla persona non integra la fattispecie; al pari, è penalmente irrilevante una condotta tale da provocare ansia, stress e paura non caratterizzata da ripetitività. La gravità richiesta dalla norma dipende dall’intensità intrinseca delle minacce ricevute, dalla pericolosità dell’agente e dalle circostanze concrete dalle quali è possibile desumere la probabilità di verificazione del danno ingiusto.
La Corte, inoltre, afferma che il mutamento delle abitudini di vita costituisce il comportamento necessitato cui la vittima di atti persecutori deve ricorrere per cercare di sottrarsi agli stessi. Pertanto, il comportamento del soggetto passivo che asseconda la condotta del soggetto agente, fa venir meno l’indispensabile requisito del mutamento radicale delle abitudini di vita e la situazione di ansia della vittima.
Pertanto, secondo la Suprema Corte, rispondere alle telefonate e acconsentire ad un incontro chiarificatore, anziché prendere le distanze dal soggetto agente, rappresenta un comportamento incongruo ed idoneo ad escludere l’ipotesi di atti persecutori.