DOVERE DI CORRETTA INFORMAZIONE SUL WEB | ART. 35 COMMA 9 CODICE DEONTOLOGICO
Liceità della pubblicità informativa sul web (Provvedimento dell’Antitrust n. 25487, pubblicato nel bollettino del 15.06.2015).
Nuova vittoria per l’Associazione Italiana Giovani Avvocati: dopo lo stop del Tar al nuovo regolamento sulle elezioni nei Consigli degli ordini, arriva un preannunciato provvedimento con il quale l’Antitrust boccia il divieto per gli avvocati di farsi pubblicità online su siti diversi da quello del proprio studio (ad esempio su social network o su siti quali paginegialle.it).
La vicenda trae origine da un precedente provvedimento (n. 25154 del 22.10.2014) con il quale l’Antitrust aveva ritenuto lesivo della concorrenza il parere n. 48/2012 espresso dal CNF in tema di uso di piattaforme digitali pubblicitarie (quali AmicaCard). In punto, l’Antitrust, aveva affermato che il CNF aveva introdotto una restrizione della concorrenza tra i professionisti, impedendo loro di utilizzare piattaforme digitali che costituiscono un mezzo idoneo per fornire agli avvocati nuove opportunità professionali, offrendo una maggiore capacità di attrattiva della clientela rispetto alle tradizionali forme di comunicazione pubblicitaria.
Nello stesso provvedimento di ottobre 2014, l’Antitrust ha criticato aspramente la distinzione, fatta propria dal CNF, tra pubblicità su siti internet con nomi di dominio propri, legittima, e pubblicità su siti messi a disposizione di terzi, che per il CNF è vietata, in quanto lesiva dell’art. 35 comma 9 del vigente codice deontologico.
Nonostante l’invito dell’Antitrust a revocare detto parere e a non porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata, il CNF non si è adeguato, perpetrando un illecito anticoncorrenziale, laddove non ha consentito agli avvocati di farsi pubblicità come tutti gli altri imprenditori.
Si ricorda che, secondo la consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale, i professionisti, ai fini dell’applicazione delle norme in materia di concorrenza, sono equiparabili alle imprese, sicché una disparità di trattamento rispetto a queste ultime non sarebbe ragionevolmente giustificabile.