Cass. Pen. Sez. VI, 6 giugno 2017, n. 23358
La Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema della tutela penale del cosiddetto fenomeno del mobbing: chiamata a pronunciarsi su una vicenda in cui un dipendente era rimasto vittima di continue sfuriate, umiliazioni e comportamenti ostili e ridicolizzanti da parte del titolare di un’impresa, la Corte esclude la sussistenza dell’art. 572 c.p. nella vicenda in esame.
A riguardo, i giudici di legittimità hanno puntualizzato che, in sostanza, il mobbing può assumere rilevanza penale ex art. 572 c.p. solo nel caso in cui le condotte vessatorie si inseriscano in un rapporto lavorativo di tipo para-familiare, ossia in un contesto di ridotte dimensioni, in cui il rapporto tra datore e lavoratore subordinato si incardina sull’informalità e sulla fiducia: “In tal senso è costante la giurisprudenza di legittimità che da ultimo ha affermato ancora una volta che le pratiche persecutorie realizzate ai danni dei lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia“.
Ipotesi non ritenuta sussistente nel caso di specie, proprio in virtù delle significative dimensioni dell’impresa nella quale il dipendente era impiegato.