Cass. 5 maggio 2016, n. 9027
La Cassazione, con la sentenza 5 maggio 2016 n. 9027, ha stabilito che l’accertamento da parte del commissario giudiziale di atti di occultamento o dissimulazione dell’attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, dell’esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore, comporta la revoca, ai sensi dell’art. 173 L.F., dell’ammissione al concordato preventivo, nonostante i creditori siano stati informati di tali fatti e abbiano comunque espresso voto favorevole all’approvazione della proposta concordataria.
La Cassazione precisa infatti che, sebbene il concordato preventivo presenti diversi elementi di natura negoziale, non può risolversi in un atto rimesso interamente all’autonomia delle parti, realizzandosi invece in un contesto proceduralizzato ed in un ambito di controlli pubblici affidati al giudice per garantire il raggiungimento delle finalità perseguite dal legislatore.
Il compimento di atti di frode non assume pertanto rilievo ai fini della revoca solamente nell’eventualità in cui l’inganno dei creditori si sia effettivamente realizzato, e dunque i medesimi abbiano espresso il proprio voto in base ad una falsa rappresentazione della realtà, ma costituisce, in quanto tale, un elemento di per se idoneo ai fini della revoca dell’ammissione alla procedura concorsuale.