Gennaio 6

Acquisto d’immobili da società in crisi: ecco come tutelarsi

Dalla rubrica “parola all’avvocato” di BergamoSera. L’avvocata Lucia Mosconi  – Referente della Commissione di diritto fallimentare di Aiga Bergamo – spiega come procedere per evitare rischi inattesi nell’acquisto di immobili da società in crisi.

Gentile avvocato, sono interessato all’acquisto di un immobile ad uso abitativo di proprietà di una società che è in crisi. Come mi posso tutelare? Cosa succede se la società viene dichiarata fallita?

Gentile lettore,
al fine di tutelarsi dalla dichiarazione di fallimento della società venditrice dell’immobile, le consiglio di stipulare un contratto preliminare di compravendita (in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata) e di procedere, ai sensi dell’art. 2645 bis del codice civile, alla trascrizione dello stesso presso la competente Conservatoria dei registri immobiliari.

La trascrizione del contratto preliminare di compravendita è un passaggio ulteriore e facoltativo rispetto alla registrazione ma consente di avere maggiori tutele nel caso in cui il promittente venditore venisse dichiarato fallito.

Lucia Mosconi

Nell’ipotesi di dichiarazione di fallimento, al promittente venditore subentra il curatore fallimentare nominato dal Tribunale che, ai sensi dell’art. 72 della Legga fallimentare, ha due possibilità: eseguire il contratto preliminare di compravendita trasferendo l’immobile all’acquirente oppure sciogliere il preliminare con conseguente diritto dell’acquirente di far valere il proprio credito nei confronti del fallimento mediante la presentazione di relativa istanza di ammissione al passivo (in questo caso il creditore, avendo trascritto il contratto preliminare, gode di un privilegio, ossia è preferito rispetto agli altri creditori, con una più alta possibilità di recuperare la somma anticipata).

Qualora, invece, l’immobile oggetto del contratto preliminare di compravendita sia destinato e qualificato all’uso abitativo per sé e/o per il proprio nucleo familiare, l’art. 72, ottavo comma della Legge fallimentare assicura una tutela piena al promissario acquirente dell’immobile. In tale ipotesi, infatti, il curatore fallimentare non potrà decidere di sciogliere il contratto preliminare e l’acquirente potrà acquistare l’immobile nonostante il fallimento del promittente venditore.

Per completezza, le segnalo che questa tutela opera a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siamo cessati anteriormente alla dichiarazione di fallimento ossia a condizione che la trascrizione del contratto definitivo avvenga entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo e, in ogni caso, entro tre anni dalla data di trascrizione del preliminare.

Gennaio 6

Tutela dei minori: le nuove iniziative della Regione

Dalla rubrica “parola all’avvocato” di BergamoSera. L’avvocato Tommaso Ghisalberti – referente della Commissione di diritto di famiglia di Aiga Bergamo – spiega il contenuto dei provvedimenti regionali in materia di tutela dei minori.

L’importanza del ruolo delle Regioni, nella materia della tutela dei minori, nasce da una parte dalla forte esigenza di decentramento territoriale in considerazione delle notevoli differenze tra le varie situazioni locali e, dall’altra, dal fallimento dell’intervento degli Enti locali, che ha portato ad un’eccessiva frammentazione dei progetti messi in atto e alla conseguente fragilità del sistema dei servizi offerti.

Negli ultimi anni, la legislazione lombarda ha perseguito la finalità di promuovere le attività di tutela, assistenza e consulenza a sostegno dei minori privi dell’assistenza dei genitori o sottoposti a maltrattamenti, abusi e abbandoni (l.r. 23 del 1999), ha rafforzato il concetto per cui la famiglia è il luogo naturale per la crescita, l’educazione ed il benessere del minore (l.r. 34 del 2004), ha finanziato interventi e progetti volti al reinserimento sociale dei minori soggetti a procedura penale (l.r. 8 del 2005), ha previsto l’istituzione del Garante per l’infanzia e l’adolescenza (l.r. 6 del 2009) ed ha definito gli interventi di sostegno a favore dei genitori separati o divorziati con figli minori (l.r. 18 del 2014).

Da ultimo la Regione Lombardia, con delibera della giunta regionale del 15 febbraio 2016, ha approvato le “Linee guida per la promozione dei diritti e delle azioni di tutela dei minori con la loro famiglia”.

Tommaso GhisalbertiMediante tale delibera, la Regione Lombardia ha avviato un’azione complessiva di riordino del welfare regionale con l’obiettivo di collocare il minore al centro della propria attenzione, predisponendo una serie di interventi tanto di tipo preventivo quanto di natura riparativa.

La nuova politica regionale pone l’accento sulla natura di compito comunitario della “tutela dei minori”, allontanandosi dal concetto di “settorializzazione” dei diversi servizi e proponendo una cooperazione delle risorse e delle istituzioni a vario titolo coinvolte in tali attività: la famiglia, la rete di sostegno del minore, la scuola, le strutture di accoglienza e di accompagnamento, i servizi sociali, le strutture sanitarie e sociosanitarie oltre ai servizi della giustizia minorile.

Tra i tanti interventi recentemente pensati e messi in atto dalla Regione Lombardia si distinguono le azioni di tutela nei confronti di minori vittime di violenza assistita. Sul punto, la politica regionale persegue l’emersione di episodi di violenza familiare e domestica assicurando la protezione delle vittime in strutture specializzate, favorisce la ricerca di alloggi in contesti di autonomia o semi-autonomia per madri e figli e assicura che il diritto di visita dei padri maltrattanti venga esercitato senza compromettere la sicurezza dei minori stessi.

Si auspica che le politiche lombarde e di tutte le Regioni italiane continuino a perseguire l’obiettivo di proteggere e rappresentare i minori concretizzando, a livello delle singole realtà territoriali, principi e norme positivizzati a livello nazionale e sovranazionale.

Gennaio 6

Blockchain e tracciabilità degli alimenti: le nuove frontiere

Dalla rubrica “parola all’avvocato” di BergamoSera. L’avvocata Marta Savona  – referente della commissione di diritto agroalimentare di Aiga Bergamo – ci spiega la ricaduta delle nuove tecnologie sul settore agroalimentare.

La “blockchain” è un fenomeno tecnologico rivoluzionario, ormai divenuto di dominio pubblico, anche se ancora molti faticano a comprenderne il significato e soprattutto l’ampiezza di soluzioni applicative.

Si può definire la “blockchain” come un registro pubblico nel quale vengono archiviati in modo sicuro, verificabile e permanente transazioni che avvengono tra due utenti appartenenti a una stessa rete. I dati relativi agli scambi sono salvati all’interno di blocchi crittografici, collegati in maniera gerarchica l’uno all’altro.

Si viene così a creare un’infinita catena di “blocchi di dati” che consente di risalire e verificare tutte le transazioni mai fatte. Quello che rende la tecnologia blockchain così sicura è il fatto che i dati presenti in un blocco non possono essere alterati retroattivamente senza che a cascata non vengano modificati tutti i blocchi successivi, il che necessiterebbe il consenso della maggioranza della rete.

L’esempio più conosciuto sono i “bitcoin”. Nel caso della criptovaluta, è stato possibile grazie alla tecnologia blockchain generare una valuta digitale le cui transazioni collegate, registrate ed aggiunte in ordine temporale all’interno della concatenazione di blocchi, vengono tracciate dagli operatori senza che sia necessario consultare un registro centrale.

Ma è possibile che anche l’industria alimentare sfrutti le potenzialità della blockchain? Ebbene, la blockchain è una tecnologia interessante se messa al servizio della catena di distribuzione per disporre di nuovi strumenti in grado di garantire la migliore tracciabilità alimentare nella prospettiva di assicurare nuovi livelli di sicurezza alimentare e food safety.

Marta Savona

Marta Savona

Tramite la blockchain, infatti, è possibile condividere le informazioni agroalimentari in un ambiente affidabile: nel caso della catena di approvvigionamento alimentare mondiale, infatti, tutti gli operatori dal produttore al consumatore (coltivatori, fornitori, trasformatori, distributori, dettaglianti, legislatori e consumatori) potrebbero ottenere il permesso di accedere al database dei blocchi e poter così avere la garanzia di conoscere dati affidabili sull’origine e lo stato degli alimenti per  effettuare le loro transazioni.

Questa tecnologia sarebbe pertanto più che utile sia nel senso di fornire una garanzia legale e certificata alla provenienza di un prodotto, sia nel caso di un’allerta alimentare.

Infatti, nel caso di prodotti avariati o contaminati, tale tecnologia consentirebbe ai fornitori di alimenti e a tutti gli altri membri, stakeholders e financo l’autorità pubblica, di utilizzare la rete dei blocchi per rintracciare alla fonte i prodotti contaminati e così approntare in tempi rapidissimi le opportune misure di prevenzione e contenimento del rischio.

Il valore aggiunto è che le informazioni possano essere verificate e controllate anche in tempo reale da tutti gli attori della filiera, con un livello assoluto di affidabilità e attendibilità dei dati, e senza la necessità di affidarsi a documenti cartacei ovvero a terze parti che certifichino i vari passaggi.

La sostenibilità economica, nonché la capacità di unire l’alta affidabilità nella sicurezza delle transazioni alla massima accessibilità in termini di costi, ha già spinto le più grosse organizzazioni della grande distribuzione ad investire consistenti fondi nello studio di questa tecnologia, che promette di rivoluzionare la logica commerciale, distributiva, contrattuale e legale di tutta la filiera agroalimentare.

 

Gennaio 6

Quando la condanna non viene iscritta in fedina

Dalla rubrica “parola all’avvocato” di BergamoSera. L’avvocato Enrico Cortesi – referente della Commissione di diritto penale di Aiga Bergamo – ci spiega il beneficio della non menzione della condanna.

Egregio avvocato, qualche mese fa sono stato condannato in un processo penale, ma il giudice mi ha concesso il beneficio della non menzione. Mi può spiegare cosa significa? Vuol dire che posso affermare di non aver precedenti penali?

Gentile lettore,
l’istituto della “Non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale” è disciplinato dall’art. 175 del Codice Penale, che stabilisce i casi in cui può essere concesso:
– in caso di una prima condanna, purché sia inflitta una pena detentiva non superiore a 2 anni, ovvero, in caso di pena pecuniaria, se questa non sia superiore ad € 516,00;
– in caso di successiva condanna, purché sia riferita a fatti commessi anteriormente alla prima e sempre che sommando le due condanne la reclusione sia inferiore a 2 anni e mezzo.

La non menzione, invece, non può essere concessa:
– se sussiste un precedente penale, di qualsiasi natura esso sia, e successivamente alla prima condanna vengano commessi ulteriori reati;
– una terza volta (e viene revocato in caso di commissione di un delitto per fatti successivamente commessi).

La concessione della non menzione è sempre discrezionale, dato che il giudice la può negare in relazione alla gravità del reato ed alla capacità a delinquere del condannato; tuttavia, ai fini della sua concessione o del suo diniego, si devono valutare anche altri elementi, al fine di valutare l’idoneità del beneficio a concorrere al recupero del reo.

Enrico Cortesi

Enrico Cortesi

Infatti, il beneficio della non menzione ha lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione della pubblicità della sentenza e si ricollega alla disciplina del casellario giudiziale, attualmente prevista dal D.P.R. 14/11/2002 n. 313.
Lo scopo del casellario giudiziale è di documentare i precedenti penali di ogni soggetto, tanto rispetto all’autorità giudiziaria penale, quanto rispetto agli altri soggetti pubblici e ai soggetti privati, i quali possono essere interessati a valutare la condotta del soggetto.

Nel certificato generale del casellario giudiziale richiesto dall’interessato non vengono iscritte le condanne per le quali sia stata concessa la non menzione. Ciò premesso, in caso di concessione della non menzione come nel suo caso, non si può tuttavia
affermare di non aver avuto condanne o un precedente penale.

Infatti, seppur, come visto sopra, in caso di sua richiesta del casellario, questo non elenca la condanna, gli effetti del beneficio sono notevolmente ridimensionati per quattro motivi:
– l’Autorità Giudiziaria e di Polizia ha conoscenza di tutti i precedenti penali, anche quelli per i quali è stata concessa la non menzione;
– i terzi, come ad esempio il datore di lavoro (che non potrebbero vedere le condanne con il beneficio della non menzione e che non hanno comunque diritto ad accedere al casellario giudiziale di un soggetto), generalmente chiedono al lavoratore l’autocertificazione relativa alle condanne ricevute e qui vanno dichiarate pure quelle per le quali è stata concessa la non menzione;
– in sostanza, l’unico soggetto al quale le condanne subite con il beneficio della non menzione non vengono rese note quando richiede la propria fedina penale è l’interessato stesso.
– la condanna, seppur con la non menzione, è comunque presente nel casellario.

In conclusione, la concessione del beneficio della non menzione può trarre in inganno il beneficiario se questi vuole verificare le condanne subìte, oppure terzi, se il certificato del casellario viene utilizzato per dimostrare la (inesistente) incensuratezza. Per tale motivo, è preferibile mostrare, al posto del casellario giudiziale, la cosiddetta “visura”, che elenca tutte le condanne subite (anche quelle con la non menzione).

 

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