Gennaio 6

Quando i droni violano la privacy

Dalla rubrica “parola all’avvocato” di BergamoSera. L’avvocata Arianna Gualandris – referente della Commissione di diritto delle nuove tecnologie di Aiga Bergamo – spiega le normative per l’utilizzo di droni per foto e video, e come tutelarsi.

Capita di vederne sempre più spesso: piccoli ingegni tecnologici simili ad aeroplanini telecomandati che sorvolano ampi spazi e sono in grado di raggiungere altezze e velocità tutt’altro che banali, oppure di scattare fotografie o registrare video dei luoghi che sorvolano, garantendo ampie e nitide inquadrature. Sono i droni, piccoli velivoli privi di pilota a bordo, ma comodanti a distanza.

Questo particolare aereo modello nasce come strumento di ricognizione militare, il cui utilizzo oggi si è però ampliato alla consegna di merci oppure al trasporto nel settore sanitario, estendendosi anche all’utilizzo per fini ludici. In base allo scopo che ne viene fatto, infatti, il medesimo modello di drone può essere qualificato come “professionale” o “ricreativo”. Trattasi dunque di strumenti di tecnologia avanzata che certamente hanno rappresentato un importante sviluppo nel settore tecnologico militare e civile, ma che, in quanto tali, possono essere fonte di lesioni dei diritti della personalità altrui, tra cui il diritto alla riservatezza, nonché addirittura creare disturbi al traffico aereo (tanto che anche l’Enac – Ente nazionale per l’aviazione civile – si è prodigata di regolamentare l’utilizzo dei droni non utilizzati per fin ricreativi o sportivi).

Volendo concentrare la nostra trattazione allo scopo ludico, è naturale porsi delle domande: è possibile scattare fotografie a cose o a persone senza ottenere alcuna autorizzazione? Sono previste delle limitazioni di utilizzo? Scattata una foto, è possibile pubblicarla sui social network? E ancora, ponendoci nei panni di chi subisce la lesione, come si può tutelare la propria privacy?

Arianna Gualandris

Arianna Gualandris

Il Garante della privacy è intervenuto sul punto, facendo chiarezza e pubblicando delle linee guida in materia. In primo luogo l’Autorità ha precisato che, fatti salvi gli usi a fini giornalistici, se si vogliono diffondere le riprese fatte con il drone è necessario il consenso dei soggetti ripresi. Quando è difficile se non impossibile raccoglierete il consenso, gli stessi devono essere resi, qualora già non lo fossero, irriconoscibili, eventualmente oscurando i volti o isolando e cancellando frammenti di conversazioni captate con il drone. É inoltre vietato diffondere immagini che contengano dati personali come targhe di macchine, indirizzi di casa, numeri di telefono e simili.

Se il drone viene utilizzato in un luogo pubblico come parchi, spiagge, strade, il Garante consiglia di evitare di invadere gli spazi personali e l’intimità delle persone. Invece, le riprese o le immagini che violano gli spazi privati altrui sono sempre da evitare, anche perché oltre a ledere la riservatezza altrui, potrebbero esporre l’autore a responsabilità penale (la condotta, ad esempio, potrebbe integrare gli estremi del reato di interferenza illecita nella vita privata).

Per quanto concerne invece le qualità tecniche del drone, questi, in quanto dispositivo elettronico, deve essere configurato per raccogliere meno dati possibili, così rispettando i principi di “privacy by design” e “privacy by default”, in ossequio al nuovo Codice della Privacy, come recentemente modificato dal Decreto legislativo 101/2018 ai fini di adeguamento con il Gdpr (Reg. UE 679/2016).

Coloro che invece subiscono la lesione della riservatezza potranno rivolgersi al Garante o, in alternativa, all’Autorità giudiziaria competente. In ogni caso, regola fondamentale non scritta nell’utilizzo di queste nuove importanti tecnologie è il ricorso al buon senso e al rispetto per l’altro. L’utilizzatore deve sempre ricordarsi che la presenza di un drone può far insorgere la sensazione di essere osservati inducendo disagio e influenzando il normale comportamento delle persone.

E’ quindi buona regola usare questi strumenti senza invadere la sfera personale degli altri. Sul punto, il Garante suggerisce di comunicare preventivamente le proprie intenzioni, ad esempio, avendo cura di avvisare i vicini se si intende riprendere una festa nel proprio giardino di casa oppure adoperarsi affinché il pilota del drone sia sempre ben visibile, così da non suscitare sospetti o allarme negli altri.

 

Gennaio 6

Pensioni, la reversibilità in caso di divorzio

Dalla rubrica “parola all’avvocato” di BergamoSera. L’avvocata Francesca Cozzani – membro della Commissione di diritto di famiglia  di Aiga Bergamo – spiega quali sono i requisiti stabiliti dalla legge in materia.

La legge sul divorzio (L. 898 del 1970) prevede delle forme di tutela per i coniugi divorziati in caso di decesso di uno: se sussistono alcune condizioni, l’ex coniuge superstite ha diritto a ricevere la pensione di reversibilità che non è altro che una quota della pensione di una persona defunta che spetta a chi ne è stato coniuge.

L'avvocato Francesca CozzaniI presupposti del diritto del divorziato alla pensione di reversibilità sono sostanzialmente tre. Innanzitutto il coniuge divorziato deve già percepire dall’ex coniuge defunto un assegno divorzile versato con cadenza periodica: in altri termini, se al momento del decesso il coniuge superstite non aveva diritto all’assegno (perchè tale diritto non era mai stato riconosciuto o perché era stato riconosciuto e poi revocato) o se aveva ricevuto l’assegno di divorzio in un’unica soluzione (cd. una tantum), non avrà diritto alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge defunto.

In secondo luogo, il coniuge divorziato superstite non deve essersi risposato. Si badi però che se il coniuge divorziato superstite è convivente con un soggetto terzo, ciò non comporta di per sè la perdita del diritto alla reversibilità.

In terzo luogo, il rapporto di lavoro da cui trae origine il trattamento pensionistico deve essere anteriore alla sentenza di divorzio.

Molto si è discusso su tali condizioni, in particolare se fosse possibile considerare delle continuative elargizioni da parte dell’ex coniuge, magari a seguito di un accordo privato, e per via di un effettivo stato di bisogno, come equiparabili “di fatto” all’assegno divorzile. Sollecitata a pronunciarsi su tale estensione del diritto, la Corte di Cassazione, con la sentenza 9660 del 2013, ha specificato che non è sufficiente per ottenere la reversibilità il fatto che il coniuge divorziato versi nelle condizioni che avrebbero astrattamente potuto legittimare la titolarità dell’assegno divorzile, qualora quest’ultimo non sia stato riconosciuto giudizialmente, e ciò neanche nel caso in cui il coniuge deceduto abbia corrisposto regolarmente all’ex delle elargizioni di natura economica, di fatto o sulla base di una convenzione privata.

Le tre condizioni sopra elencate debbono quindi sussistere affinché il coniuge superstite possa vantare il diritto alla reversibilità della pensione, il cui ammontare viene calcolato in base al rapporto intercorrente tra la durata del matrimonio e il periodo di maturazione della pensione in capo al defunto.

Come ha più volte chiarito corrente giurisprudenza l’arco di durata del “matrimonio” comprende anche l’eventuale periodo di separazione legale, fino alla data della sentenza di divorzio: solo in questa data, infatti, si è definitivamente e sicuramente ottenuto lo scioglimento del vincolo matrimoniale.

Ma a seguito di un divorzio molte cose possono accadere: se il coniuge defunto non si è risposato, la pensione di reversibilità spetta solamente al coniuge divorziato superstite (che ne vanti i presupposti di legge e ciò anche se dopo il divorzio il coniuge defunto aveva intrapreso una convivenza con un soggetto terzo). Se, invece, dopo il divorzio, il defunto aveva contratto nuove nozze, allora la pensione di reversibilità spetta in parte all’ex coniuge divorziato e in parte al nuovo coniuge superstite, ossia al/la vedovo/a.

Secondo la legge sul divorzio la ripartizione delle quote viene fatta dal Tribunale competente in considerazione della durata dei rispettivi matrimoni: tuttavia, si è stabilito che il Tribunale non può basarsi soltanto sul numero di anni di durata di ciascun matrimonio, ma deve tenere in debita considerazione lo stato di bisogno dei singoli superstiti (divorziato e vedovo), ossia le relative condizioni economiche e reddituali.

In caso di decesso dell’ex coniuge divorziato, l’ex coniuge superstite interessato alla pensione di reversibilità dovrà avanzare un apposito ricorso al Tribunale, che ne valuterà i presupposti, affinché il suo diritto sia accertato e riconosciuto.

Gennaio 6

Imprese, il credito d’imposta per ricerca e sviluppo

Dalla rubrica “parola all’avvocato” di BergamoSera. L’avvocata Elisabetta Ricchiuti– membro della Commissione di diritto commerciale e societario di Aiga Bergamo – spiega quali sono i requisiti e i benefici dell’agevolazione fiscale per le aziende.

Il credito d’imposta per ricerca e sviluppo nasce con l’obiettivo di stimolare la spesa privata delle imprese nel settore della ricerca e sviluppo, al fine di innovare processi e prodotti e garantire maggiore competitività futura per le aziende.

In particolare, consente alle imprese che investono negli anni 2016-2017-2018-2019-2020 nel settore della ricerca e sviluppo, al fine di aumentare l’innovazione e competitività, di ottenere in cambio un credito d’imposta.

Si tratta di un’opportunità per le aziende che merita un approfondimento dato che, spesso risulta facile equiparare “sbagliando” le spese di ricerca e sviluppo a spese molto particolari negandosi a priori tale beneficio senza un’approfondita consulenza settoriale.

Tale agevolazione fiscale introdotta in origine dall’articolo 3 del D.L. N. 145/2013 ha subito successivamente proroghe, modifiche e chiarimenti.

Il credito di imposta per ricerca e sviluppo viene riconosciuto a ciascun beneficiario, per ogni anno in cui le spese sono state sostenute, a condizione che vengano rispettate le seguenti condizioni:
• La spesa per gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo, sia per ciascun anno di imposta di almeno pari a 30.000 euro;
• Si realizzi un incremento delle spese in esame rispetto al triennio 2012-2013-2014;
• Il credito è riconosciuto fino all’importo massimo annuo di euro 20 milioni rispettivamente distribuiti in 50 % della spesa incrementale per i costi per il personale impiegato in attività di ricerca e sviluppo e contratti di ricerca e 50 % della spesa incrementale per strumenti di attrezzatura di laboratorio, competenze tecniche e industriali.

I costi ammissibili sono se riferiti a: personale impiegato in attività di ricerca e sviluppo, quota ammortamento per spese di acquisizione ed utilizzazione di strumenti e attrezzature di laboratorio, spese relative a contratti di ricerca con università e/o enti, competenze tecniche e industriali relative ad un’invenzione.

È intervenuta nel tema l’Agenzia delle entrate con la circolare 13/E/2017 al fine di fornire chiarimenti con particolare riferimento ai costi agevolabili.
Rientrano, ad esempio nella nozione di “personale altamente qualificato” non solo i tecnici di laboratorio o ricercatori, ma tutto il personale che svolge attività connesse e coerenti con l’oggetto dell’attività di ricerca svolta. Non assumono invece rilevanza i costi riferiti al personale con mansioni amministrative, contabili, commerciali. Nonché il personale della logistica, del magazzino, della vigilanza ed addetto alla pulizia.

In merito alle spese per “strumenti e attrezzature di laboratorio, l’ammontare minimo di euro 2.000 va riferito al costo unitario di acquisizione del bene”.
Con riferimento alle spese per competenze tecniche, l’Agenzia precisa che possono rientrare in tale categoria quelle sostenute per l’acquisizione di conoscenze ed informazioni tecniche (beni immateriali). Ad esempio, le spese per conoscenze tecniche riservate, risultati di ricerche già effettuate da terzi, konw how, software coperti da copyright.

Possono beneficiare del credito di imposta per picerca e sviluppo tutti i soggetti titolari di un reddito d’impresa, indipendentemente dalla natura giuridica, dalle dimensioni aziendali, dal regime contabile adottato e dal settore economico di appartenenza.

Elisabetta Ricchiuti

Elisabetta Ricchiuti

Risulta opportuno sottolineare che, a decorrere dal periodo di imposta 2017 l’incentivo è destinato anche alle imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo eseguite in funzione di contratti stipulati con imprese committenti non residenti, oppure committenti localizzati in altri paesi dell’UE.
Al fine di usufruire del credito d’imposta, le imprese sono tenute alla predisposizione di apposita documentazione contabile che dovrà essere certificata da un revisore o società di revisione entro la data di approvazione del bilancio, oppure, per i soggetti non tenuti all’approvazione del bilancio entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio in cui sono stati fatti gli investimenti ammissibili.
Il credito d’imposta sarà utilizzabile dalle imprese in compensazione a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello nel quale sono state sostenute le spese agevolabili.

Si propone di seguito un’analisi statistica dell’ambito di applicazione dell’istituto, elaborato dallo Studio DDP Partners in Milano, specializzato nella consulenza ed assistenza fiscale ed amministrativa. Lo studio evidenzia che, gli investimenti effettuati dalle imprese nel settore di Ricerca e Sviluppo coinvolgono con maggiore attenzione ed analisi i costi del personale e dei contratti di ricerca.

Si evidenzia, altresì, che non vi è predominanza di settore, vi è infatti un approccio positivo all’investimento sia nel settore industria, manifatturiero, tessile, informatico, commercio, costruzioni e servizi. L’industria della “moda e tessile” vede il settore positivo anche nell’investimento in costi per attrezzature. Tale dato non costituisce una sorpresa, ma importante conferma del primato in Italia dello sviluppo nel settore tessile.

In tale ambito, si è pronunciata anche l’Agenzia delle Entrate specificando che, ai fini della riconducibilità al beneficio del credito d’imposta delle attività di ricerca e sviluppo nel settore “tessile e moda le modifiche ordinarie o periodiche apportate a prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione, sono escluse dalle attività ammissibili anche quando tali modifiche rappresentino miglioramenti”. Nei settori in questione potranno considerarsi rilevanti l’insieme dei lavori organizzati dall’impresa ai fini dell’elaborazione e della creazione di nuove collezioni di prodotti, ovvero nel settore moda di nuovi campionari le cui attività di ricerca siano finalizzate all’innovazione dei materiali o delle tecniche di lavorazione.

Ai fine dell’applicazione pratica, l’Agenzia delle entrate evidenzia che la riconducibilità al beneficio del credito d’imposta delle attività di ricerca e sviluppo afferenti alle fasi di “ricerca e ideazione estetica e realizzazione di prototipi del settore tessile e moda” dovrà ritenersi applicabile secondo un’interpretazione estensiva anche ai settori afferenti la produzione creativa quali ad esempio: calzature, occhiali, gioielleria, ceramica.
In conclusione, si scorge con attenzione l’ampiezza del contenuto normativo che riconduce l’applicabilità dell’istituto ad una vasta platea di imprese, senza distinzione di settore di appartenenza ed operatività, oltre che caratteristiche dimensionali. Considerato ciò, risulta fondamentale per l’impresa l’approccio professionale del consulente interrogato circa la possibile operatività dell’istituto ai fini della valorizzazione degli investimenti effettuati, onde non vedersi revocati i benefici ottenuti.

Gennaio 6

Polizze vita: vantaggi, svantaggi, incertezze

Dalla rubrica “parola all’avvocato” di BergamoSera. L’avvocato Simone Bertone – membro della Commissione di diritto penale di Aiga Bergamo – spiega pro e contro per i risparmiatori.

In questa puntata della rubrica “Parola all’avvocato”, analizzeremo uno degli investimenti più diffusi fra i risparmiatori: le polizze vita.

Nelle polizze vita cosiddette “linked” (letteralmente, in inglese, “collegate”) il capitale che verrà pagato dalla compagnia assicurativa al beneficiario (in caso di decesso dell’assicurato) oppure allo stesso assicurato (ove previsto in contratto, allo scadere di un termine prestabilito entro cui l’evento morte non si sia verificato) dipende dall’andamento di fondi di investimento (per il caso di polizze vita c.d. “unit linked”) oppure titoli azionari ovvero indici di borsa (per il caso delle polizze vita c.d. “index linked”) nei quali è stata investita dalla compagnia la somma versata a titolo di premio.

La variabilità di questi indici aggiunge al profilo di rischio naturalmente insito nel contratto assicurativo, relativo all’incertezza del verificarsi o meno di un evento della vita da cui ci si intende premunire, quello concernente l’ammontare dell’indennizzo, ben potendo il premio versato notevolmente incrementarsi, ma anche ridursi, fino ad azzerarsi, senza che sia talvolta garantita la restituzione, neppure in minima parte (è il caso delle c.d. polizze linked pure), del suddetto capitale.

Questi prodotti godono di significativi benefici, che ne hanno comportato una significativa diffusione, tra cui:
– la differibilità al momento del riscatto della polizza della tassazione degli utili, i quali potranno essere così integralmente reinvestiti senza imposte per tutta la durata del contratto (c.d. tax deferral);

– l’esenzione dall’imposta sulle successioni dell’indennizzo erogato in caso di decesso dell’assicurato (cfr. art. 12 comma 1 lett. c) D.Lgs. 346/1990), acquistando il beneficiario il diritto alla sua corresponsione non già per effetto della successione dell’assicurato, bensì direttamente dalla compagnia in ragione della polizza (cfr. art. 1920 codice civile);

– il diritto, più volte ribadito dall’Autorità Garante della Privacy, alla riservatezza dell’identità dei beneficiari della polizza nei confronti dei terzi richiedenti (specie se eredi non beneficiati dalla polizza);

– l’inassoggettabilità dell’indennizzo assicurativo a pignoramenti e/o sequestri da parte di eventuali creditori del sottoscrittore (cfr. art. 1923 codice civile).

Non va, peraltro, sottaciuto che le polizze linked rispondono anche agli interessi delle compagnie assicurative le quali, a differenza che per le polizze vita tradizionale, possono così evitare di accantonare quote del proprio patrimonio a garanzia della restituzione di ciascun premio raccolto. Ci si è quindi interrogati sull’effettiva natura di questi prodotti, nella misura in cui il sottoscrittore della polizza, anziché e solo premunirsi delle conseguenze economiche sfavorevoli di un evento infausto della vita umana, in realtà investe il premio versato con l’auspicio che il suo ammontare cresca in base all’andamento positivo degli indici a cui viene ancorato, perseguendo quindi l’operazione uno scopo non solo assicurativo, ma anche finanziario.

La questione è giunta alle aule di giustizia allorché questa duplice finalità non sia stata consapevolmente assunta dal sottoscrittore, il quale, nell’intento di assicurare ai propri figli o nipoti una somma dopo la propria morte, magari anche ingolosito dai benefici di cui queste polizze godono, non ha invece lasciato loro nulla o quasi, a causa del pessimo andamento degli indici di cui sopra. Si è posto, quindi, il problema dell’applicabilità anche a tali prodotti dei particolari obblighi informativi previsti dalla legge nell’interesse dell’investitore in prodotti finanziari e, dunque, anche delle sanzioni di invalidità dei prodotti stessi in caso di loro violazione, nonché dei correlati obblighi restitutori/risarcitori da parte delle compagnie.

Il legislatore italiano, preso atto della loro natura ibrida, ha esteso nel 2005/2006 a questi particolari prodotti assicurativi norme destinate a quelli più propriamente finanziari. Si vedano, in particolare, l’art. 2 del D. Lgs. 209/2005 (Codice delle assicurazioni private), che ne ha fornito una definizione normativa, ricomprendendoli nel cosiddetto “ramo III” delle polizze vita, e l’art. 25 bis D.Lgs. 58/1998 (Testo Unico di Intermediazione Finanziaria), inserito dalla L. 262/2005, che ha esteso alle suddette polizze del “ramo III” (espressamente richiamate all’art. 1, comma 1, lettera W bis, a propria volta inserito nel T.u.f. dal D. Lgs. 303/2006) i particolari obblighi informativi previsti dagli articoli 21 e 23.

Simone Bertone

Simone Bertone

Recenti sentenze hanno quindi dichiarato l’invalidità di polizze linked sottoscritte senza che il contraente fosse stato adeguatamente informato dalla compagnia assicurativa della loro natura finanziaria, ritenuta talvolta addirittura prevalente rispetto a quella assicurativa laddove esse non garantiscano la restituzione del premio versato (si vedano in tal senso Tribunale di Genova, sentenza 17.5.2018; Tribunale di Taranto, sentenza 7.6.2018).

Più incerta, al riguardo, la posizione della Corte di Cassazione, come da ultimo segnalato anche dalla principale associazione rappresentativa delle compagnie assicurative a fronte di titoli giornalistici ad effetto relativi a recenti pronunce.

Il Supremo Collegio, oltretutto per casi risalenti a prima dei citati interventi normativi, ha infatti ritenuto non essere di propria competenza, bensì del giudice di merito, l’interpretazione delle singole clausole di ciascun contratto ai fini della valutazione della prevalenza, caso per caso, della causa finanziaria rispetto a quella assicurativa. Interpretazione, peraltro, ritenuta in concreto immune da censure (si vedano, in tal senso Cass. 30.4.2018 n. 10333 e Cass. 18.4.2012 n. 6061).

Si segnala, in questo contesto, una recente decisione del Tribunale di Brescia del 6.7.2018 che ha accolto l’opposizione avverso il pignoramento dell’indennizzo assicurativo derivante da una polizza c.d. unit linked, richiesto da un creditore che, sulla scorta del citato orientamento di merito, aveva reputato il prodotto finanziario anziché assicurativo e, dunque, esente dal beneficio d’impignorabilità/insequestrabilità previsto dall’art. 1923 del codice civile.

Il giudice bresciano ha infatti respinto la tesi del creditore pignorante, evidenziando come, dalla più recente normativa europea direttamente applicabile anche in Italia (il cosiddetto “Regolamento PRIP” n. 1286/2014, relativo ai prodotti d’investimento ed assicurativi preassemblati, nonché Direttiva n. 97/2016 sulla distribuzione assicurativa), emerga che la mancata garanzia di restituzione del premio pagato non osti comunque alla qualificazione del contratto come assicurativo, ed ha quindi reputato applicabili le esenzioni previste dall’art. 1923 codice civile.

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