Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 gennaio – 22 marzo 2013, n. 7312
“La carica di amministratore di una società a base personale è incompatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, in quanto non possono riunirsi in tale posizione sia i poteri riservati all’esecutore subordinato della volontà sociale, sia i poteri dell’organo competente ad esprimere tale volontà.”
Ancora di estrema attualità la nota sentenza su richiamata atteso che spesso accade, non solo nelle società di persone, ma anche nelle società di capitali e segnatamente nelle SRL con pluralità di soci, che uno di essi assuma la qualifica di socio amministratore unico e contemporaneamente la qualifica di dipendente della società stessa di cui è, appunto, amministratore unico.
Ebbene tale sentenza, così come altre che l’hanno preceduta, interviene in merito all’impossibilità evidente, in capo allo stesso lavoratore, della contemporanea sussistenza del ruolo di amministratore unico d’una società, ripetesi, sia essa di persone che di capitali, con il rapporto di subordinazione.
Essa esclude, dunque, recisamente che si possano concentrare nella stessa persana fisica tanto il potere di esprimere la volontà della società, obbligandola verso terzi (in qualità di amministratore unico) quanto lo svolgimento di compiuti esecutivi, in qualità di dipendente, impartiti dalla società medesima, rappresentata da egli stesso. Verrebbero infatti a mancare i presupposti ed i requisiti della subordinazione tipici del lavoro dipendente.
Tale sovrapposizione delle figure di amministratore e dipendente della società, peraltro, può comportare esiti negativi in punto di contribuzione INPS; ed infatti a tal proposito l’INPS, disconoscendo la sussistenza del vincolo di subordinazione in siffatte ipotesi, giunge addirittura a disconoscere la rilevanza a fini previdenziali della contribuzione versata, pur facendo salvo il diritto del lavoratore alla restituzione dei contributi pagati, maggiorati degli interessi. Ciò che, se si verificasse in prossimità del raggiungimento dei requisiti pensionistici, significherebbe per il lavoratore vedersi respinta la domanda di pensione, ottenendo semplicemente la restituzione del versato a titolo contributivo.
Giova richiamare sul tema la nota circolare 8 agosto 1989 n. 179 dell’INPS nella quale, già all’epoca l’Ente previdenziale chiariva che l’incompatibilità tra la carica di amministratore unico e la posizione di lavoratore subordinato si verifica nelle ipotesi in cui il soggetto che riveste la carica sociale di amministratore unico e Presidente del CDA o Amministratore delegato, esprime da solo la volontà della società, come anche i poteri di controllo, il potere direttivo e quello disciplinare “in veste di lavoratori essi verrebbero ad essere subordinati di sé stessi, cosa che non è giuridicamente fattibile….”.