Cass. 4.11.2016 n. 22413
Secondo la Suprema Corte l’esercizio dell’attività di prostituzione genera reddito imponibile ai fini IRPEF, trattandosi di proventi rientranti nella categoria residuale dei redditi diversi. Ove poi si riscontri anche il requisito dell’abitualità di tale attività, essa risulta anche soggetta ad IVA.
Secondo un precedente orientamento della Cassazione, (sent. n. 20528 del 1° ottobre 2010) veniva già statuita l’imponibilità dei proventi percepiti per l’attività di prostituzione, senza però individuare la specifica categoria reddituale nella quale inserirli.
Un tentativo di individuare una categoria reddituale nella quale ricondurre i proventi derivanti dall’attività di meretricio era stato avanzato dalla giurisprudenza di merito (C.T. Prov. Reggio Emilia n. 131 dell’11 giugno 2009) protesa verso la qualifica di redditi di lavoro autonomo.
Vanno tuttavia segnalati altri precedenti secondo cui i compensi percepiti per l’attività in commento avrebbero natura risarcitoria e, per l’effetto, non risulterebbero soggetti a tassazione, posto che quanto percepito dovrebbe considerarsi come “una forma di risarcimento sui generis a causa della lesione dell’integrità della dignità di chi subisce l’affronto della vendita di sé” (così, C.T. Reg. Lazio 3 maggio 2010 n. 109/10/10; in senso conforme, C.T. Prov. Milano 22 dicembre 2005 n. 272).